VERO o FALSO? 3 miti sulla pubblicità per brand cosmetici

Sei il proprietario di un’azienda cosmetica.

Attraverso i tuoi prodotti, sei nel business di fare bella la gente: trucco, parrucco, cura del corpo.

Questa è una buona notizia.

Nonostante il periodo pandemico, che non ha incentivato nessuno a dare il meglio di sé dal punto di vista estetico, il tuo settore è in crescita.

Kosmetica, una delle riviste di riferimento del panorama beauty italiano, ha raccolto in un articolo i numeri: tasso di espansione annuo previsto del 4,75%, con 511 miliardi di dollari di fatturato mondiale nel 2021, e il superamento dei 716 miliardi entro il 2025.

Intanto, tu promuovi il tuo marchio e ti sei conquistato la tua meritata fetta di clientela, in un mercato ultra competitivo e in costante evoluzione.

Così, senti che puoi e vuoi fare di più.

Ottimo.

Ti rivolgi ad un’agenzia di comunicazione per lastricare la strada del tuo successo.

Stai pensando (o ti hanno fatto pensare) che è il momento di realizzare uno di quei fantastici spot creativi da 30 secondi, già vanto di tanti tuoi competitor.

Questa invece è una cattiva notizia.

Lo farai andare in TV. Forse non in prima serata… ma il salotto di Pomeriggio Cinque di Barbara D’Urso è un’opzione.

In fondo, il programma ha in media 2 milioni di spettatori a puntata che in Italia, a cavallo delle 6 di sera, non sono pochi.

E questa è una notizia pessima.

Perché – nel calderone senza fondo di pubblicità d’immagine e misurabilità in vacanza – il rischio di fare il passo creativo più lungo della gamba che lo sostiene finanziariamente è alto.

Molto alto.

Perciò, vorrei fare il punto su 3 grandi miti (e relative ramificazioni) che negli anni ho visto associare ai brand cosmetici più spesso che agli altri.

Convinzioni fuorvianti che avvolgono gli imprenditori come la copertina patinata avvolge Vogue, e che – proprio come quella carta luccicante – rischiano di abbagliare il tuo giudizio.

Prima, però, concedimi un aneddoto che riguarda uno dei claim pubblicitari più famosi di tutti i tempi, e non solo nel tuo ambito.

Correva l’anno 1971.

Il brand L’Oreal cercava la strategia giusta per posizionare Préference, la sua linea di colorazione fai da te, nella mente delle consumatrici statunitensi.

Invano.

La “préference” delle donne americane andava alle tinte della concorrente Clairol.

Come fare?
Mentre gli illustri pubblicitari dell’agenzia McCann Ericksson – incaricata del difficile compito – si arrovellavano con le mani tra i capelli (letteralmente in questo caso), fu Ia freschezza della gioventù ad avere l’intuizione geniale.

Ilon Specht, intraprendente pulzella di 23 anni, inventò lo slogan “Because I’m Worth It”, il celeberrimo “perché io valgo”.

Il resto è storia, della pubblicità e del colosso di bellezza francese.

Da allora e per molti anni a venire, tutti gli spot televisivi L’Oreal hanno avuto questo slogan, recitato da bellissime del calibro di Claudia Schiffer, Linda Evangelista, Beyoncé, e via dicendo.

Fantastico, dirai tu.

E in effetti hai ragione. L’Oreal è tuttora l’azienda leader per fatturato nel settore beauty.

Verrebbe quasi da copiarli. Un claim di successo, una bella ragazza che lo recita, e 30 secondi di spot che girano su tutte le reti.

Infatti, di degenerazione in degenerazione, la formula è stata imitata in ogni sua variante.

Ma se non sei L’Oreal, o un’altra multinazionale con le spalle coperte da un mantello d’oro, ti prego di fermarti subito, prima che le tue azioni portino a conseguenze talvolta irrimediabili.

Perché è vero che io valgo, tu vali e noi valiamo.

Ma – perdona la franchezza – prima valgono i tuoi soldi.

Ed ecco i motivi per cui non è una buona idea percorrere il sentiero della creatività fine a sé stessa

Il dramma della pubblicità astratta

MITO #1 – Per un brand cosmetico l’immagine è padrona

VERO, ma…

Chiarisco subito che per immagine qui non intendo quella aziendale, ovvero la brand identity.

Intendo la parte video degli spot, la creazione di sequenze suggestive che richiamano alla mente del consumatore determinati stili di vita, che li proiettano in un mondo di sensazioni, emozioni, ecc.
La cura estetica, i colori, la fotografia, la grafica.

Insomma, l’immagine intesa come pubblicità bella.

Fatta da un bravo videomaker e che costa soldi.

Tanti.

Solo che la parte video deve essere accompagnata da uno script – un testo – recitato.

E qui sono dolori.

Perché va bene il claim creativo, ma dopo bisognerebbe studiare qualcosa che porti le persone a comprare.

Invece, sempre più spesso il testo è anch’esso creativo, motivazionale, ispirazionale.

Astratto.

Non dice nulla sul prodotto pubblicizzato, su cosa lo differenzia dalla concorrenza o su quello che può fare per il cliente.

In realtà, spesso non dice nulla e basta. 30 secondi di vuoto assoluto.

Però, tu hai già speso una fortuna per la realizzazione del contenuto visivo.

E se ci metti uno script che non vuol dire nulla, pieno di slogan e frasi fatte, teso ad evocare chissà quali astrazioni… stai buttando al vento i tuoi soldi, più quelli che aggiungerai per distribuire lo spot.

E per darti solo una vaga idea della tragedia che si sta consumando giorno dopo giorno nel mondo della pubblicità d’immagine, voglio riportarti un esempio.

Si tratta dello spot che l’azienda di bibite gassate Mountain Dew ha fatto realizzare per il Super Bowl di quest’anno.

Ti stavi chiedendo cosa volessi dire con “vuoto assoluto”? Eccolo.

Se proprio insisti, te lo spiego meglio in questa puntata della mia trasmissione Campagne Champagne. 

Ma come vengono misurati questi spot? Quali metriche si utilizzano per valutarne l’efficacia sul pubblico? In un webinar di ISpot.tv – top player americano della pubblicità televisiva che produce il più alto numero di spot mandati in onda durante il Super Bowl (i più costosi al mondo) – viene spiegato un metodo di misurazione “all’avanguardia”.

Ebbene, tramite “rivoluzionari” sondaggi viene rilevato:

  • Quanto lo spot è piaciuto
  • Quali emozioni ha suscitato
  • Quante condivisioni ha generato sui social
  • Quante volte è stato visto su YouTube

Onestamente questo è incredibile, oltre che assurdo.

Per poter passare il tuo spot durante l’evento sportivo più famoso di tutti i tempi, devi investire milioni di dollari.

Non esiste vetrina più importante: se sei uno sconosciuto (con le tasche belle gonfie), da oggi a domani guadagni una notorietà pazzesca.

Ma forse guadagni solo quella, dato che nessuno si prende davvero la briga di capire quante vendite ne siano conseguite.

In più, forte di un video totalmente astratto, hai sborsato un patrimonio per farti conoscere da mezza America… ma ti sei scordato di spiegare cosa fai.

E così, visto che i consumatori non sono stupidi, la metrica che riguarda le visualizzazioni meritate (vedo lo spot in TV, lo cerco online, lo guardo e lo condivido) è crollata quest’anno del 60,66%.

Un impatto negativo pesante sul portafoglio degli inserzionisti.

Ora, è vero che le cause di questo tracollo possono risiedere in un insieme di tanti fattori.

Ma è innegabile che il ridicolo creativo abbia raggiunto traguardi spaziali e non stia ripagando con l’adeguata moneta: quella reale.

In caso morissi dalla curiosità di saperne di più, nel mio libro Do La Solutzione

In cui racconto i segreti per creare una macchina di vendita che ti consente di acquisire il massimo numero di clienti possibile per la tua attività – dedico un passaggio specifico su quanto convenga investire nel Super Bowl.

Per adesso, il punto chiave è che da un tocco di sacrosanta creatività siamo giunti all’astrattismo delirante.

A questo punto tu potrai obiettare: “Marco, ma non è che tutte le pubblicità sono così.

Tu stesso hai fatto l’esempio di L’Oreal.

Quella non è creatività fine a sé stessa, lì del prodotto se ne parla.

Si capisce cosa vogliono dire”.

Vero.

2020. Spot L’Oreal del make-up per occhi “Basta uno sguardo”. Protagonista Miriam Leone. “Libera le tue emozioni, la forza di sentirti fragile, la gioia di scoprirti felice… Tu vali.”

A prima vista lo script di questo annuncio sembrerebbe non contenere niente di strano.

Tuttavia, prova
ad immaginare te stesso o uno dei tuoi venditori mentre parlate in questo modo a un vostro potenziale
cliente, intorno al tavolo di una trattativa commerciale.

Perché la pubblicità Ѐ una trattativa commerciale.

Beh, non credo proprio che queste sarebbero le tue argomentazioni.

Infatti, quello che ti ho portato un esempio non è altro che un mero slogan pubblicitario, perfetto per grandi brand che stanno facendo un puro investimento sulla propria immagine.

Non è invece la pubblicità ideale – ovvero quella che può portare il miglior risultato – per un brand di dimensioni più piccole come il tuo, che deve conquistare nuove fette di mercato e non solo mantenere
le proprie.

In questo caso, sarebbe opportuno spiegare perché il tuo prodotto è meglio degli altri, cioè di quelli dei tuoi competitor che siederanno prima e dopo di te attorno allo stesso tavolo.

Ah, piccola parentesi: “perché io valgo” è stato sostituito a un certo punto da “tu vali”.

Qualcuno lo riteneva denigratorio nei confronti delle spettatrici.

Pronunciato da bellezze inarrivabili, il suo significato era travisabile: “io valgo, prendo un cachet milionario per dire queste due parole, e tu non sei nessuno”.

Il contrario dello scopo che l’azienda voleva raggiungere.

Meglio una sfumatura meno ambigua.

Ma andiamo avanti…

2021. Ancora Miriam Leone su Elvive Olio Straordinario: “I miei capelli raccontano chi sono… capelli incredibilmente nutriti e morbidi… libera i tuoi capelli, libera quella che sei.”

Cosa vuol dire?

Perché una donna dovrebbe scegliere Olio Straordinario e non Orofluido di Revlon, per nominarne uno a caso?

Perché non dovrebbe decidere che i suoi capelli sono già abbastanza morbidi e nutriti con shampoo e maschera? Perché le serve anche un olio?

Come dicevo poco fa, rispondere a queste domande è importante.

A dirla tutta sarebbe proprio lo scopo del marketing.

Giocare in attacco

MITO #2 – Gli spot delle grandi beauty companies sono così

VERO, ma…

No, non ho conti in sospeso con L’Oréal, se te lo stai chiedendo.

I marchi più famosi al mondo ruotano attorno a pubblicità di questo tipo.

E se per loro questi messaggi standardizzati sono sufficienti, non sono certo io a doverne giudicare obiettivi e performance.

Ma parliamo dei marchi più famosi al mondo, appunto.

Purtroppo, il mio e il tuo non lo sono.

Mi sento di ripetertelo. Per molte di queste multinazionali la promozione dei propri brand è un gioco in difesa.

Lo scopo principale della loro pubblicità è ricordare al pubblico che esistono, i loro prodotti sono già conosciuti e acquistati da ampie quote di mercato.

E sto tralasciando il fatto che comunque niente di tutto ciò è misurabile.

Ma tu che sei un imprenditore italiano, con una bell’azienda di prodotti cosmetici, non devi giocare in difesa.

Devi giocare in attacco.

Prendiamo il tuo caso specifico.

Stai per lanciare una linea con i colori di tendenza della prossima stagione (e se ti occupi di make-up o hair-care ti capita almeno due volte l’anno).

O la tua collezione di solari.

O una gamma di prodotti per il corpo a base di arnica montana.

Pensaci: sei sicuro di poter davvero promuovere il tuo prodotto in quel modo?

Pensi davvero che un spot televisivo di 30 secondi una tantum basterà a far ricordare il nome del tuo brand, soprattutto quando questo spot è bello da vedere ma non significa niente?

Quando è inghiottito in mezzo ad altri 5 spot?

Quando durante la pubblicità il tuo spettatore va fuori a fumare, approfitta del bagno o controlla le notifiche di Facebook?

È chiaro che per ottenere un minimo di visibilità non puoi comprare un solo passaggio.

Hai bisogno di un tabellare come quello proposto dalla Rai (e da tutte le altre emittenti televisive), con i relativi pacchetti di “X+X spot” inseriti nel palinsesto pubblicitario.

E se è vero che in Italia non abbiamo i prezzi americani, considerando che la nostra popolazione è un quinto di quella degli USA, a me sembrano lo stesso piuttosto altini.

Anche se non vuoi promuoverti durante Sanremo.

Dida: 160.820 euro per il Modulo Special preserale, in estate!

E hai bisogno di questo tabellare ad ogni nuovo lancio.

Quindi, se ti tuffi a capofitto su una pubblicità creativa che non significa quasi nulla, anche se con ambizioni e volumi ridotti rispetto alle multinazionali, può uscire un disastro.

Pure nel caso in cui ti potessi permettere un investimento che si aggira su queste cifre, non sarebbe un investimento. Sarebbero soldi presi e buttati.

Se stai per farlo, fermati. Non pensare a quanto sarebbe emozionante vedere il tuo spot in Rai.

Non pensare al team marketing della tua agenzia che si dà pacche sulle spalle.

Non pensare ai tuoi dipendenti che ti dicono quanto è bella la nuova campagna.

Non pensare a tua moglie che parla con le amiche della tua azienda in TV.

Lei i tuoi prodotti li usa già.

Pensa ai tuoi soldi.

Pensa a quanti soldi sono ENTRATI davvero da quell’emozione.

A quanti ne sono USCITI tra produzione dei contenuti e relativa campagna.

A quanti regali in più stai facendo a tua moglie e alla tua famiglia grazie agli UTILI generati da quello spot.

Li riesci a contare? Quanti prodotti venduti, quanti soldi spesi, quale ROAS? No? Male.

Perché te l’ho già detto.

Senza misurazioni reali su quanto quella campagna converte, hai un problema.

Sensazioni, condivisioni e visualizzazioni non bastano.

Per giocare in attacco devi orientare la tua pubblicità in un’altra direzione.

Devi infondere al tuo business uno sviluppo sostenibile e misurabile… acquisire nuove quote di mercato… e magari raddoppiare i fatturati.

Non ti entusiasma più quest’idea che copiare il marketing delle multinazionali?

Come si costruisce un brand

MITO #3 - La pubblicità è noiosa. Senza creatività un marchio beauty perde la sua magia.

VERO, ma…

Ok, il mondo della pubblicità non ci ha certo abituati a fiondarci su ciò che crea.

Le persone hanno poco tempo e lo spam di attenzione si è abbassato.

Se poi vengono propinati contenuti di una noia mortale, l’interruzione pubblicitaria diventa insopportabile.

D’altro canto, viviamo nell’epoca dell’intrattenimento.

Chi è in grado di intrattenere ha una posizione di enorme vantaggio sugli altri.

Quindi tu, che devi produrre un contenuto – in questo caso video – che sia misurabile e ti permetta di capire se i conti tornano… con un testo che significa qualcosa e fa compiere alle persone un’azione precisa (comprare)… quali opzioni hai? Abbiamo visto che con uno spot TV è praticamente impossibile.

Se è vero che catturare l’attenzione dello spettatore e mantenerla è ormai indispensabile per evitare che il pubblico ti ignori bellamente…è altrettanto vero che la ricerca dell’intrattenimento a tutti i costi per sconfiggere la noia, ha portato alle aberrazioni astratte già sviscerate.

Che costano soldi e non fanno vendere.

Purtroppo o per fortuna, però, un brand si costruisce attorno alle vendite, quindi potendo contare su un bacino ampio di clienti.

Servono anche i contenuti, certo, ma se non ti focalizzi in primis su una crescita più veloce possibile, investendo in attività di marketing che abbiano un senso, il tuo brand non potrà mai davvero fare il salto di qualità che merita.

Probabilmente, e la butto lì, l’ideale sarebbe creare un contenuto pubblicitario che venda ma sia anche intrattenente.

Questo significa un video curato sotto l’aspetto estetico come piace a te, che veicoli il tuo messaggio differenziante, porti le persone ad acquistare, e raggiunga un pubblico molto ampio.

Un pubblico che – a differenza di quello televisivo di cui solo una minima parte è composta dal tuo target – è invece potenzialmente molto interessato a quello che hai da dire.

Un video che intrattiene e ha molte più chance di vendere rispetto ad uno spot di 30 secondi in cui devi per forza sacrificare le tue argomentazioni.

Impossibile?

Guarda qu

Grazie a questo particolare spot e a un piano di marketing ben implementato, Giuseppe Giorgi – proprietario di un brand di piscine fuori terra di lusso – a fronte di un primo investimento in media buying (acquisto di spazi pubblicitari sui mezzi di comunicazione) di 4.500 euro, ha venduto 145.000 euro di piscine.

E ha eguagliato il fatturato dell’intero 2019 nei primi 8 mesi del 2020. In piena pandemia.

Questo spot è un esempio di infomercial, che fonde l’aspetto estetico della pubblicità d’immagine con le capacità di vendita del marketing a Risposta Diretta.

È un video patinato in stile cinematografico, che ti permette di generare sia autorità di brand che vendite dal primo giorno.

Il principio alla base è il cosiddetto INFOTAINMENT (un mix di informazioni e intrattenimento).

Niente noia e ritorno sull’investimento pubblicitario positivo.

E se questo tipo di pubblicità sta funzionando per altri imprenditori del mondo beauty come te, credi esista la possibilità che funzioni anche nel tuo caso?

Certo, non è semplice abbandonare convinzioni radicate.

Spiegare a tutti che hai deciso di scegliere una strada diversa perché ritieni sia quella giusta. Molti non lo capiranno, forse con qualcuno dovrai pure discutere.

Ma sei tu il proprietario della tua azienda, e sei tu a reggere le sue sorti.

Se io avessi un brand cosmetico e sapessi che il mio settore è in crescita, vorrei avere la mano sulla porta che si apre in quella direzione, e non sul cuore con la speranza che il destino mi ci conduca da solo.

Con questa riflessione concludo l’articolo, confidando ti sia stato utile per portare un po’ di luce nella selva oscura che separa la pubblicità che fa soldi da quella che li cestina.

Se sei curioso di approfondire la prima delle due, clicca qui sotto.

Sei curioso di approfondire la prima delle due?

Alla prossima,
Marco

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